IL FARAONE TUTANKHAMON

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hayat_2alby
view post Posted on 19/7/2010, 19:23




www.tutankhamon.it/

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Tutankhamon (Tutankhaton alla nascita), Faraone della XVIII Dinastia, salì al trono dopo la morte di Smenkhara all'età di nove o dieci anni. Data la giovane età, venne sottoposto ad un consiglio di reggenza di cui facevano parte Ay, il generale Haremhab, il generale Nakhtmin, il tesoriere Maya.

"Di lui una sola cosa è certa… morì" ed in questa frase di Howard Carter può essere racchiusa l’essenza stessa della figura di questo Re fanciullo, salito al trono all’età di circa 9 anni e che, come si dirà più avanti, morirà ad un’età compresa fra i 16 ed i 20 anni. La fama di Tutankhamon è di certo legata alla scoperta della sua tomba, la KV62 della Valle dei Re, praticamente inviolata, avvenuta nel novembre 1922 ad opera della spedizione diretta da Carter e sovvenzionata da George Herbert, quinto Conte di Carnarvon.

Tuttavia la figura stessa di Tutankhamon merita un approfondimento che, normalmente, viene superato dalle descrizioni della sua fantastica tomba ricolma di immense ricchezze; è qui solamente il caso di rammentare, tuttavia, che la tomba era stata oggetto di almeno due incursioni ladresche, già nell’antichità, che videro asportare un bottino pari a circa il 60% dei gioielli e degli oggetti preziosi sepolti, ab origine, con il Re. Tornando al giovane sovrano, essendo la sua vita non meno misteriosa della sua tomba, si rende necessario un breve excursus sui suoi predecessori per poi passare ad una ipotesi di genealogia.


La tomba di Tutankhamon
www.anticoegitto.net/tombatut.htm

Tutto ebbe inizio otto anni prima di quella memorabile mattina del 4 novembre 1922, quando il piccone degli scavatori portò alla luce il primo di sedici gradini che immettevano alla tomba di Tutankhamon.
Fin dal 1914, Lord Carnavon e Howard Carter avevano ottenuto dal governo egiziano la concessione per attuare scavi nella Valle dei Re, anche se, a detta degli specialisti e della stessa direzione del reparto antichità del Cairo, il luogo "non offriva più alcuna possibilità di nuove scoperte".
Tuttavia Carnavon e Carter erano di parere diverso, anche se i motivi su cui fondavano la speranza di trovare una tomba, e proprio quella di Tutankhamon, erano fragilissimi e basati su reperti di precedenti campagne archeologiche: una coppa di ceramica con il nome del faraone, una cassetta di legno rotta che conteneva foglioline d'oro recanti lo stesso nome, vasi in terracotta in cui erano state riposte bende di lino che risultavano risalire alle cerimonie funebri di Tutankhamon.
L'istinto sicuro dell'archeologo, l'incrollabile fiducia nella proprio fortuna e oltre sei anni di tenace ricerca guidarono Carter all'ingresso della tomba, situato tra i resti di alcune capanne per operai della XX dinastia. Lord Carnavon si trovava allora in Inghilterra ma, richiamato da un telegramma di Carter, venti giorni dopo giunse a Luxor con la figlia per sovrintendere all'apertura della prima porta, che però risultò essere già stata violata e poi risuggellata. Più oltre si apriva un corridoio di dieci metri pieno di detriti, all'estremità del quale gli scavatori incontrarono una seconda porta con i suggelli di Tutankhamon spezzati: anch'essa, in epoche lontane, era stata varcata da visitatori clandestini. Carter aprì un'apertura nell'angolo superiore sinistro e introdusse nel foro una candela e ciò che gli apparve lo lasciò esterefatto: aveva davanti agli occhi la realizzazione dei sogni di ogni archeologo. Quando il 27 novembre la porta fu finalmente aperta, anche Lord Carnavon, sua figlia Lady Evelyn e l'egittologo Callender, che era giunto alla prima notizia della scoperta, videro sfavillare alla luce di una forte lampada elettrica cofani preziosi, un trono d'oro, vasi di alabastro, bizzarre teste d'oro di animali a cui facevano da sentinella, l'una di fronte all'altra, due statue con grembiuli e sandali d'oro; ma fra tanti tesori non c'era nè un sarcofago nè una mummia! La scoperta di un'altra porta, la terza, che portava segni di effrazione e di un successivo sigillamento fece rinascere le loro speranze, anche se non comprendevano come dei ladri si fossero dati la pena di penetrare oltre la terza porta, prima di essersi impadroniti di quanto avrebbero potuto asportare dal vano precedente. E le sorprese non erano ancora terminate. Una piccola camera laterale era colma fino all'inverosimile di suppellettili e di oggetti preziosi di ogni genere, rimossi e in parte danneggiati dai misteriosi visitatori. Il materiale finora venuto alla luce era enorme, e immenso si prospettava il lavoro di classificazione, catalogazione, asportazione e conservazione che doveva essere intrapreso. Con la consulenza di specialisti di prim'ordine (fotografi, disegnatori, chimici, storici, ingegneri, botanici), inviati dalle maggiori università e musei americani ed europei, il primo oggetto fu portato in superficie il 27 dicembre e il lavoro di rimozione andò avanti per quasi due mesi: la sola anticamera conteneva circa settecento pezzi e alcune casse richiesero, da sole, intere settimane per essere svuotare da oggetti preziosi, armi e vesti. C'erano poi tre ingombranti bare, il trono con spalliera decorata e quattro carrozze che, non potendo, per le loro dimensioni, essere introdotte intere nella tomba, erano state segate in vari pezzi, che i ladri poi avevano disperso un po' dovunque. Per la metà di febbraio del 1923, l'anticamera era ormai sgombra e si poteva procedere all'apertura della porta che si sperava nascondesse la mummia.

Il 17 febbraio, venti persone(membri del governo e scienziati) erano state ammesse all'interno della tomba di Tutankhamon per assistere all'apertura della porta dietro la quale si supponeva si trovasse la mummia, mentre Carter iniziava a rimuovere lo strato di pietre superiori nel silenzio più assoluto. Appena l'apertura fu abbastanza ampia da consentire l'introduzione di una lampada elettrica, apparve ai suoi occhi una visione portentosa. Si trattava di un muro d'oro massiccio che risultò poi essere la parete anteriore del più prezioso e più vasto cofano mortuario mai venuto alla luce. Due ore di difficile lavoro consentirono agli scopritori di penetrare all'interno della camera sepolcrale, ed ecco svelarsi il cofano tutto ricoperto d'oro, sui cui fianchi erano incastrati lucidi pannelli di maiolica azzurra, coperti di segni magici. Le sue dimensioni erano così vaste da lasciare sgomenti: 5,20x3,35x2,75 metri. Le grandi porte a battenti della parte orientale si aprirono facilmente perchè non erano suggellate, ma il secondo cofano splendente che esse racchiudevano, portavano un sigillo: intatto! La mummia non era stata violata, Tutankhamon giaceva nella sua tomba così come vi era stato deposto trentatre secoli prima. L'emozione dei presenti era così profonda, che l'adiacente camera del tesoro (che pure conteneva oggetti artistici di inestimabile valore) passò quasi inosservata. Le indagini successive intorno al ritrovamento durarono parecchi anni. Nel 1926 fu aperto il cofano d'oro e l'anno successivo furono estratte e separate quattro bare contenute una nell'altra e costituite, complessivamente, da circa ottanta pareti; il loro trasporto richiese ottantaquattro giorni di duro lavoro. L'ultima bara racchiudeva l'enorme scrigno ricavato da un unico blocco di quarzo giallo, coperto da una lastra di granito. All'interno c'erano dei lini, sotto i quali apparve il re. Non era ancora la mummia, ma il ritratto in oro del giovane faraone; la testa a tutto tondo aveva il volto in oro puro dipinto, gli occhi in aragonite e ossidiana, le palpebre e le sopracciglia in lapislazzuli; anche le mani erano a tutto tondo, il corpo, invece, lavorato a bassorilievo. Quando l'11 novembre 1927, la mummia di Tutankhamon fu resa agli studiosi, apparve subito evidente che gli oli e le resine avevano indurito e incollato tutto. Ad accezione del volto, dei piedi e delle mani che erano chiusi in involucri d'oro, l'ossidazione dei composti resinosi aveva quasi completamente carbonizzato i tessuti e le ossa.


La vera causa della morte di Tutankhamon

http://lescienze.espresso.repubblica.it/ar...rticolo/1342134

Nel corso degli anni si erano accavallate molte ipotesi, da quella che la attribuiva a malattie ereditarie, a una ferita, fino all'omicidio violento o per avvelenamento
Fu l'effetto congiunto della malaria e di diverse anormalità nella struttura ossea a provocare la morte precoce del faraone Tutankhamon: è questa la conclusione a cui è giunto l'ultimo studio sulle ragioni della scomparsa del grande faraone, condotto da Zahi Hawass, del Consiglio superiore per le Antichità del Cairo, e collaboratori, e pubblicato sulla rivista JAMA.

Numerose sono le ipotesi che sono state avanzate nel corso degli anni circa le possibili cause della morte di Tutankhamon a cominciare da diverse malattie - da quelle legate a uno scompenso ormonale con ginecomastia, alla sindrome di Marfan - per finire con quelle che la imputavano a una ferita, a una setticemia o a un'embolia secondaria a una frattura al femore e perfino a un omicidio perpetrato con un colpo alla nuca o con un veleno.

"Tuttavia la maggior parte delle diagnosi sono ipotesi formulate sulla base dell'osservazione e dell'interpretazione di reperti artistici e non sulla base della valutazione dei resti mummificati del re", osserva Hawass.

Per cercare di chiarire la questione Hawass e collaboratori hanno così deciso di intraprendere un ampio spettro di ricerche antropologiche, radiologiche e genetiche in modo da determinare i rapporti familiari fra 11 mummie del Nuovo Regno al fine di individuare anche eventuali tratti patologici ascrivibili a patologie ereditarie o malattie infettive.

Alla fine dello studio non sono stati trovati segni di ginecomastia né della sindrome di Marfan: "La particolare rappresentazione artistica di questi personaggi reali va molto più probabilmente messa in relazione con le riforme religiose di Akhenaton. E' improbabile che Tutankhamon o Akhenaten avessero realmente un aspetto marcatamente bizzarro o un fisico effeminato. E' importante notare che i re dell'antico Egitto e le loro famiglie venivano tipicamente rappresentati in modo idealizzato", osservano i ricercatori.

Hawass e collaboratori hanno peraltro trovato un accumulo di malformazioni nella famiglia di Tutankhamon. "Sono diverse le patologie diagnosticate, ivi compresa la malattia di Köhler II (che porta ala formazione di osteocondrosi), ma nessuna di esse da sola avrebbe provocato la morte. I test genetici per i geni STEVOR, AMA1 e MSP1, specifici di Plasmodium falciparum, il parassita della malaria, sono stati positivi in quattro mummie, compresa quella di Tutankhamon. Questi risultati suggeriscono che una necrosi ossea avascolare - ossia conseguente a un insufficiente afflusso sanguigno al tessuto osseo - in concomitanza dell'infezione malarica sia stata la più probabile causa di morte del faraone. Le difficoltà di deambulazione e la malaria che affliggevano Tutankhamun sono anche suffragate dalla scoperta nella sua tomba di bastoni e di una nutrita farmacia per l'aldilà", osservano i ricercatori. (gg)

Edited by hayat_2alby - 12/8/2010, 21:24
 
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hayat_2alby
view post Posted on 2/5/2011, 00:15




L'ultima maledizione (molecolare) di Tutankhamon



Qualcuno l’ha definita l’ultima maledizione del Faraone. Una comunità scientifica – quella della «Egittologia molecolare» – divisa a metà tra chi ci crede e chi non ci crede. Tra chi pensa di aver carpito a Tutankhamon il suo ultimo segreto, quello genetico. E chi, dotato di uno scetticismo radicale, pensa che quel segreto semplicemente non sia possibile carpirlo perché il Dna del Faraone si è definitivamente e irrimediabilmente degradato.
La diatriba è ricostruita con alta definizione di dettaglio da Jo Marchant sull’ultimo numero della rivista Nature. E vale la pena ricostruirla perché ci racconta molto non solo di biologia d’avanguardia applicata alla storia – l’antropologia molecolare, appunto – ma anche della sociologia della scienza tout court. Nella vicenda, sia detto per inciso, sono implicati su posizioni opposte anche due italiani – Albert Zink, del Museo della Mummia e del Ghiaccio di Bolzano, e Franco Rollo, dell’Università di camerino – a dimostrazione che i nostri ricercatori riescono malgrado tutto a svolgere un ruolo di primo piano nell’agone scientifico.
In breve, la vicenda è questa. La tecnologia della PCR (polymerase chain reaction) ha reso possibile, verso la metà degli anni ’80, la possibilità di analizzare piccole quantità di Dna. Con effetti dirompenti, tra l’altro, sulle scienze forensi e sulla paleontologia. Basta avere un po’ di materiale organico e la PCR ci regala la possibilità di analizzarlo, grazie a una reazione a catena che duplica il Dna in milioni di copie.
Grazie a questa possibilità è possibile analizzare il Dna anche di animali e uomini vissuti migliaia e decina di migliaia di anni fa, soprattutto se ben conservati al freddo. La tecnica ha due limiti: il Dna nel tempo si degrada. E quando i frammenti diventano troppo piccoli, la PCR è incapace di lavorare. Inoltre, data la sua potenza, è esposta al rischio contaminazione: credo di analizzare il Dna di un antico Faraone e mi trovo a studiare il Dna del tecnico delle pulizie del museo.
Quando il Dna antico è relativo a un animale o a un uomo che si è conservato al freddo, per esempio in un ghiacciaio, e/o in un clima secco il processo di degradazione è meno avanzato e il rischio di errore diminuisce di conseguenza. Quando il reperto è stato per secoli e millenni in un ambiente caldo umido, allora la possibilità di errore aumenta enormemente. Ed è qui che si accende la diatriba del Faraone.
Perché fin dal’inizio degli anni ’80 al centro dell’attenzione degli «antropologi molecolari» ci sono stati proprio gli antichi re d’Egitto. Perché si tratta di figure universalmente note. E perché se ne conservano le mummie. Molti sono stati, dunque, gli studi sul Dna delle mummie egizie. Alcuni capaci di bucare l’attenzione dei media di tutto il mondo. Come il lavoro pubblicato dal team del noto archeologo Zahi Hawass lo scorso anno su JAMA, una delle più importanti riviste mediche del mondo, dove si annuncia il sequenziamento del Dna addirittura del Faraone Tutankhamon e di molti suoi parenti, con tanto di diagnosi di malattie – dalla tubercolosi alla malaria – in cui sarebbero incorsi.
Il faraone si vendica. Perché la comunità degli «Egittologi molecolari» si divide tra chi non ha dubbi sull’affidabilità dei risultati e chi ritiene, invece, che siano del tutto inconsistenti. Franco Rollo, per esempio, pubblica un lavoro nel quale dimostra che nell’ambiente in cui le mummie sono state per 3.300 anni, un Dna si sarebbe degradato molto presto – in meno di 600 anni – e dunque non c’è possibilità alcuna che la PCR ci abbia regalato una sequenza esatta del codice genetico del Faraone.
Ma “quelli che ci credono” non demordono. E vogliono fornire una dimostrazione decisiva che la loro è vera scienza e che la sequenza nucleotidica pubblicata è quella autentica di Tutankhamon. La cosa è possibile perché, intanto, le metodologie di analisi sono migliorate e la “nuova” PCR è in grado di ricostruire l’intero a partire da frammenti tre volte più piccoli di quelli di qualche anno fa. Morale della favola: Hawass sponsorizza un progetto per un nuovo sequenziamento del Dna del Faraone, affidandola a un team che vede come figura leader l’italiano Albert Zink.
La vicenda potrebbe avviarsi a conclusione – e certamente, prima o poi lo farà – non fosse che per due perturbazioni per così dire esogene. Da anni l’Egitto proibisce (giustamente) di portare all’estero qualsiasi reperto antico. Ciò vale anche e soprattutto per la mummia di un Faraone o per sue piccole parti, Dna incluso. Morale della favola, per ripetere l’analisi occorre portare le nuove tecnologie in Egitto e allestire lì i laboratori (almeno due, a quanto pare). Con un aggravio di costi notevole.
La seconda perturbazione è che sponsor del progetto è un canale televisivo, Discovery Channel, cosicché gli scettici storcono la bocca: la televisione, dicono, pretende risultati eclatanti. Che garanzie abbiamo che la ricerca non sarà, come dire, forzata?
La vicenda sembra un po’ frivola. Ma – a ben vedere – contiene molti aspetti di carattere generale. Molta attività scientifica è sottoposta a vincoli (come quelli del governo egiziano) e pressioni anche mediatiche (come quella attribuite alla televisione). In questo momento, per esempio, il governo del Canada sta decidendo di procedere a una sperimentazione – quella relativa alla cura proposta da Paolo Zamboni per la sclerosi multipla – fortemente voluta dai mass media e fortemente avversata dalla comunità scientifica. Non è semplice, venirne fuori. Ma finché c’è un dibattito, anche aspro, ma libero e pubblico, prima o poi – come pare si dica adesso – la comunità scientifica trova la quadra

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